Il Borgo di Chia
Chia, la piccola Matera del Lazio che fu il buen retiro di Pasolini
Il Borgo di Chia nel quale amava ritirarsi Pier Paolo Pasolini quando sentiva il bisogno di “staccare la spina” con il mondo.
Chia è un Borgo della Tuscia di 400 abitanti circa, che deve il suo fascino arcano all’antico borgo rupestre che affianca il paese vero e proprio e che, a tutti gli effetti, oggi si presenta al visitatore come un “insediamento fantasma”. Siamo nella Tuscia viterbese, a due passi da Soriano nel Cimino, e il piccolo nucleo originario di Chia, edificato sulla roccia tufacea precedentemente sede di antiche necropoli etrusche, ricorda una sorta di Matera in miniatura.
l borgo originale, di cui oggi restano i resti della Chiesa del XVII secolo e dei pochi palazzi circostanti, fu edificato intorno al 1100 e poi abbandonato intorno agli anni ’50.
Oggi il fascino di questo agglomerato di costruzioni rupestri e macerie è dato proprio dal fatto che i ruderi rimasti testimoniano un mondo lontano e misterioso. Pier Paolo Pasolini, che ebbe modo di visitare Chia nel corso delle riprese del suo film Il Vangelo secondo Matteo, negli anni Sessanta decise di ritirarsi fra queste colline in ogni momento libero possibile. Fu solo nel 1970, però, che il regista riuscì ad acquistare la Torre di Chia, detta anche Castello di Colle Casale risalente al 1200 e restaurarla, e qui soggiornò negli ultimi anni di vita lavorando al romanzo Petrolio.
L’altopiano di Chia e le zone circostanti divennero un tale “luogo dell’anima” per Pasolini, che egli dedicò proprio al minuscolo borgo una poesia pubblicata nella raccolta “La nuova gioventù. Poesie Friulane”, scritta nei primi anni Settanta. Qui il regista, a cui oggi è dedicato un busto di bronzo nella piazza centrale, parlava di Chia e delle sue querce rosa, probabilmente alludendo alle meravigliose sfumature del foliage autunnale nei boschi limitrofi.
Ad essa Pasolini dedicò alcuni ultimi versi de la La nuova gioventù. Poesie friulane (1941-1974) utilizzando dialetto friulano degli esordi, “Il soreli a indora Chia / cui so roris rosa, / e i Apenìns a san di sabia cialda..”
l vetusto borgo di Chia, posto su un colle tufaceo sulla destra del fosso Castello, è un notevole esempio di urbanistica di piccolo centro medievale fortificato. Anche se le antiche cronache indichino Chia con l’appellativo di castello, dovrà trattarsi, fin dai secoli XIII e XIV più che di un castello vero e proprio di un complesso di minuscoli palazzi e di case. Talune con basse torri e bastioni disposti secondo un preciso schema difensivo. Nella parte più alta del colle vi è una piazzetta irregolare, Piazza Giordano Bruno.
Tra le suddette case risultano pure incastonate le rovine della più antica chiesa parrocchiale del borgo modificata nel rinascimento intitolata a San Giovenale, andata completamente distrutta.
Da un sottopassaggio arcuato, ricavato da una casa torre, trae inizio una stradina, che mediante una rampa a gradoni, scende ad un livello più basso, ove è fiancheggiata, almeno in parte, verso l’esterno, da due schiere di case (tuttora abitate) separate tra loro da stretti vicoli. Da qui, un secondo sottopassaggio, pure arcuato, immette all’esterno del più antico nucleo abitativo, sulla odierna piazza del paese.
Su quest’ultima figurano costruzioni e modifiche di edifici precedenti eseguite nel tardo rinascimento e nelle epoche successive.
Denominazione
È arduo individuare l’origine della denominazione del borgo di Chia. Una nota leggenda vorrebbe che Chia prendesse nome da una nobile longobarda stabilitasi qui con il suo seguito, forse al tempo delle scorrerie dei Longobardi stessi nel Lazio. Tuttavia, il vocabolo sembra di origine etrusca.
Storia
Nel borgo fortificato di Chia, come riferisce Edoardo Martinori, nel 1260, un feudatario di nome Cappello, signore anche del vicino castello di Colle Casale, venne processato per eresia dai viterbesi, e il papa Alessandro IV gli confiscò tutti i beni che andarono a beneficio della Camera apostolica, la quale nel 1298 investì del feudo il vescovo di Orte.
Nel 1301, Chia ritornò alla Camera apostolica, la quale nello stesso anno, per volontà di Bonifacio VIII, ne cedette l’investitura a Guastapane dei Porcari per compensarlo della perdita della rocca di Soriano. Nel 1321 Napoleone Orsini, figlio di Orso, acquistò Chia dai Guastapane, con il permesso della Santa Sede. Nel 1369, Urbano IV dette il borgo in feudo a Simeotto Orsini; ma Martino V lo tolse a quella famiglia per passarlo alla sua. Successivamente Chia passò nel 1427 ad Antonio Colonna, nel 1431 nuovamente agli Orsini; e in epoche più recenti appartenne al Lante Della Rovere che lo vendettero ai Borghese nel 1836.
Fino al 1942 era frazione del comune di Bomarzo; in tale data passò a Soriano nel Cimino[1].
La festa religiosa
Il Santo Patrono di Chia è San Giovenale di Narni, la cui festa ricade il 3 maggio, fino agli anni ’60 si festeggiava il 3 e 4 maggio, oggi i festeggiamenti iniziano sempre il 3 maggio ma la festa vera e propria avviene il primo fine settimana del mese.
Il dolce tipico di questa festa è il Biscotto di San Giovenale.
“Biscotto di San Giovenale è un dolce artigianale che ancora oggi si prepara in occasione della festa del Patrono San Giovenale, da cui prende il nome.
Gli ingredienti sono più o meno gli stessi dal 1900.
Nella ricetta moderna i Rosoli, che nel passato erano i soli aromi usati insieme all’anice, oggi vengono mescolati con altri liquori dolci aromatizzati.
Nella ricetta tradizionale Chiana, la forma del biscotto e simile a una ciambella di circa 0,7 – 1 Kg, che vanno poste a lievitare al caldo, su teli cosparsi di farina di granoturco per non farle aderire e dopo circa 24 ore di lievitatura, la superficie dei biscotti va tinta con del tuorlo d’uovo per renderla dorata, e successivamente cotti nel forno legna, secondo la tradizione.
Il Biscotto di San Giovenale, viene infatti preparato solo con l’avvicinarsi della festa del Santo Patrono fine aprile inizio di maggio, e rappresenta per Chia un dolce dal sapore Sacro, al pari di quello che rappresenta il panettone per Natale e la colomba per Pasqua.
Anche se Chia è un piccolo insediamento urbano, le testimonianze di numerose chiese denotano una notevole vitalità culturale testimoniata non soltanto nelle architetture, ma anche nelle opere d’arte a soggetto religioso in esse contenute, siano affreschi, quadri o arredi sacri.
Purtroppo il tempo e l’incuria hanno spesso irreparabilmente danneggiato .
Di seguito riportiamo alcune opere più rappresentative che costituiscono il patrimonio di Chia :
Chiesa di santa Maria delle Grazie
Oggi chiesa parrocchiale di Chia, costruita nel 1617, all’interno dopo un recente restauro sono emersi dipinti di cui si era pera memoria, tanto da riscoprire un vero e proprio santuario con opere e affreschi ,che testimoniano l’arte religiosa del paese.
– Il trittico del Salvatore benedicente
Tempera su tela autore sconosciuto definito dal Faldi “il maestro di Chia” forse allievo di Lorenzo da Viterbo, attribuendo l‘opera al xv secolo.